Elliot Murphy (16 Luglio 2006) - Associazione River

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Elliot Murphy (16 Luglio 2006)

CONCERTI

CONCERTO DI ELLIOT MURPHY
.:OFFICIAL WEBSITE:.



L’associazione River organizza il 16 luglio 2006 nella Ex Colonia Fluviale all’interno del parco pubblico Carlo Alberto Cappelli con la collaborazione dell’Associazione Pro Loco ed il patrocinio del Comune di Rocca San Casciano, un concerto del grande  Elliot Murphy.

Proseguendo nella logica di proporre al paese eventi musicali “ricercati” l’associazione River ha deciso di organizzare un concerto del grande musicista americano che vie da tantissimi anni a Parigi.

Il concerto è stato straordinario.

La serata freddissima è stata scaldata da questo straordinario gruppo di artisti.

Ha iniziato una scatenatissima Kellie Rucker con la sua splendida voce Rock, ha proseguito un poetico Garland Jeffreys seguito dal mitico Elliott Murphy insieme al suo fidato chitarrista Olivier Duran.

Il concerto è terminato con una lunga Jam Session di tutti gli artisti che hanno suonato e cantato insieme che ha reso la serata un vero evento.

Autore: Fabio Rezzola

Autore, musicista, giornalista e scrittore di romanzi, Elliott Murphy è una di quelle rare persone che incarna alla perfezione il concetto di artista eclettico e che a 32 anni dal debutto ha ancora molto da dire e da dare al suo pubblico, sia coi suoi album in studio che con le sue esibizioni dal vivo.

Amico e collaboratore di artisti come Bruce Springsteen, per il quale fece da opener in diversi concerti negli anni ’80 e con cui duettò nell’album “Selling the Gold”, Phil Collins e Mick Taylor, Elliott probabilmente avrebbe potuto ottenere una fama ben maggiore di quella che gode attualmente: i suoi album degli anni ’70 – il debut “Aquashow” del 1973 e “Just a Story from America” del ’77 in particular modo – impressionarono notevolmente pubblico e critica al punto di diventare dei sold-out, e per l’artista newyorkese sembrava prospettarsi una carriera radiosa.

L’energia con cui suonava, anzi, suona la sua chitarra e l’armonica, l’intensità e la poesia dei suoi testi spesso paragonati a quelli di Bob Dylan, le doti canore e la bellezza della sua musica sembravano proprio essere le credenziali per la nascita di una nuova superstar.

Ma il mondo dello show-business probabilmente non faceva al caso di Elliott, che per sua stessa ammissione si è ritrovato «per scelta e necessità» a imboccare la strada delle produzioni indipendenti all’inizio degli anni ’80.

Una scelta forse difficile, ma che col senno di poi si è rivelata sicuramente la migliore per uno spirito libero come lui, e con ogni probabilità è anche per questo che all’età di 55 anni ci troviamo di fronte a un musicista genuine con una gran voglia di suonare e di divertirsi col proprio pubblico: assieme al fidato, funambolico chitarrista Ollivier Durand (qui alle prese con la sua acustica e col dobro), Elliott Murphy vanta una media di 100 concerti all’anno in Europa, divenuta ormai la sua seconda casa dopo il trasferimento a Parigi nel 1989.

“Never say Never – The best of 1995-2005… and more” è una raccolta in cui il nostro artista celebra gli ultimi 10 anni di attività del nostro artista dal 1995 ad oggi.

Elliott ha scelto personalmente i 10 pezzi a suo avviso più significativi dagli album “Selling the Gold”, “Beauregard”, “Rainy Seasons” e il doppio “Strings of the Storm”.

Fra i pezzi scelti spiccano sicuramente “Come on Louann”, gioiosa canzone d’amore in cui la voce e l’armonica di EM la fanno da padrone, “Small room” con le sue fantastiche atmosfere in stile country, la dolcissima “A little push”, pezzo che ad ogni ascolto non manca di stupirmi per la sua delicatezza, una splendida dichiarazione d’amore appena sussurrata dalla ruvida voce del nostro artista… e ancora “Ground Zero”, personale e vissuto omaggio alle vittime dell’11 settembre, “On Romeo Street” con i suoi arpeggi di sapore latino, il superbo duetto col Boss in “Everything I do (leads me back to you)” a chiudere l’album… sì, di carne al fuoco ce n’è davvero tanta e la qualità di questi dieci vecchi brani è davvero eccelsa e senza cali. Giustamente qualcuno potrebbe obiettare che dieci pezzi sono pochini per una raccolta, ma non è il caso di preoccuparsi, perché ad essi vanno aggiunti quattro inediti meravigliosi, a testimonianza dell’attuale stato di grazia del nostro artista: ecco che la raccolta è aperta dalla title-track “Never say Never”, una splendida rock ballad, anzi, un vero e proprio inno alla speranza e alla libertà; i restanti inediti sono concentrati fra le tracce 9 e 11, in cui troviamo la scanzonata “Dirty Old Man”, un brano che è una dedica a Bukowski e nel quale viene fuori tutta la vena ironica di Elliott, certamente il pezzo più divertente dell’intero album; seguono l’intensa e nostalgica “My father’s house”, fra gli inediti forse quello che meglio di tutti esprime l’infinita classe di Elliott come autore e interprete, ed infine “Long time coming”, una pura e semplice love song, il classico lento da godersi preferibilmente in buona compagnia.

Abbiamo in definitiva 14 brani che ci accompagneranno per oltre 70 minuti… come? Non vi basta? Beh, poco male, nella bella confezione in digipak è incluso un succulento DVD con le riprese dal vivo di cinque lunghi classici, una parte live godibilissima nonostante la regia chiaramente amatoriale, una ricca photo gallery, la discografia e i videoclip di “A little push” e “Caught short in the long run”.

Una raccolta realizzata davvero alla perfezione e piena di motivi d’interesse che in definitiva consigliamo a chi volesse scoprire il fenomenale Elliott, che fra l’altro sta facendo finalmente anche i vecchi, introvabili lavori, ma anche ai fan di vecchia data, alla luce della qualità dei nuovi brani e del materiale contenuto nel DVD.

Autore: Paolo Gallori

Per Elliott Murphy è tempo di bilanci. Gli anni sono passati, inesorabili, e oggi il cantautore di Long Island riflette sulle sue cinquantuno primavere, ventisette delle quali spese nel music business. Il nuovo album, Rainy Season, è l'ennesima prova di grande scrittura offerta da un artista di razza, come si dice in questi casi. Un disco che si regge su solide ballate elettroacustiche e su un'ottima "rendition" del blues standard Little Red Rooster di Willie Dixon. Ma a caratterizzare l'intero lavoro sono soprattutto due brani, Thirty Was A Long Time Ago e New World Order, spietata analisi della storia personale dell'artista e di un genere umano infelice causa troppa informazione. "The phone rings everytime I try to sing" recita uno dei versi più pregni di significato di New World Order. E il cellulare di Elliott ha squillato più volte nel corso dell'incontro che abbiamo avuto con lui al Big Mama di Roma, quasi ad avvalorare la tesi. Era l'8 dicembre e il mondo ricordava John Lennon...

"Ero a New York quel giorno, venne mio fratello e disse che avevano sparato a Lennon. Non sapevamo che era morto. Mio Dio, pensai, lo avevo visto da poco, a passeggio per Madison Avenue. A New York John si sentiva libero, libero di andare a spasso con Yoko Ono e se lo salutavi lui rispondeva. Più tardi appresi dalla Tv che era morto e cominciai a scambiarmi telefonate con gli amici per avere conferme, nessuno poteva crederci. Che terribile perdita, aveva appena pubblicato Starting Over . Ho un ricordo molto divertente di quando gli fui presentato per la prima volta in un club di New York, negli anni Settanta. Era il periodo in cui aveva litigato con Yoko e usciva con Harry Nilsson, andava in giro a bere come un disperato. Ero scioccato, emozionato. Gli dissi "Cosa stai facendo adesso?", e lui "Cosa pensi che stia facendo, mi sento fottuto!". Era un bel tipo, molto spontaneo.

Professionalmente parlando, ha aperto tante porte, soprattutto quando ha iniziato a scrivere testi molto personali. La sua storia è parte del calendario della mia vita, sin da quando i Beatles misero per la prima volta piede in America e io li vidi all?Ed Sullivan Show. Più tardi menzionai quell?evento in un verso della canzone The Last of the Rock Stars (in Aquashow, 1973). Egli sapeva dove stava andando, era il più brillante dei Beatles".

Quale momento della sua vita riflette il nuovo album, Rainy Season?

Il fatto che sono a metà della mia strada. Il titolo è nato dal ricordo di quando scrivevo le canzoni, ero in tour in Germania da un mese e pioveva ogni giorno. Sai, aver raggiunto una certa età e continuare a fare rock?n?roll, trovarsi a essere qualcuno a metà tra il troubadour e il "mercenario" della musica, viaggiare in tutto il mondo per suonare in piccoli club, come questo. A volte è molto difficile, ma mi piace pensare che comunque posso fare ciò che voglio. Come le canzoni di Rainy Season, ho veramente scritto ciò che volevo, forse ci sono troppe parole, ma è davvero uno sguardo profondo e introspettivo in questo momento della mia vita.

Thirty Was A Long Time Ago e New World Order sono permeati dal rimpianto per ciò che era una volta il rock?n?roll e la qualità della vita. Sei davvero così deluso dal presente?

Siamo circondati da troppe informazioni, Internet ci racconta ciò che accade in ogni momento, ad ogni tragedia che accade nel mondo segue un notiziario della Cnn. New World Order racconta questo stato di cose, che mi rende ansioso, perché il presente potrebbe essere vissuto molto meglio. Thirty... è una canzone sul sogno del rock?n?roll che avevo quando ho iniziato e sulla consapevolezza che, a questo punto della mia vita, non potrò più diventare il nuovo Elvis Presley. Tutto ciò che sognavo, gloria, celebrità, ricchezza, è stato frustrato da quanto è successo in questi venticinque anni. Ma mi è rimasto l?amore e passione per la musica, e anche per lo stile di vita. Se non sono in auto a guidare per ore e chilometri mi sento inutile, come se fossi morto. Ma ora è troppo tardi per tornare indietro.

La canzone popolare ha comunque ancora un grande potere. Springsteen ha spaccato New York con American Skin, la canzone dedicata al caso Diallo, l'immigrato ucciso dalla polizia di Giuliani...

Più che di potere della canzone, bisognerebbe parlare di potere dell?artista. Tutti amano Springsteen per la sua onestà, la gente lo ascolta e prende appunti perché sa che non fa questo per pubblicità o per promozione. Io non ho mai ascoltato quella canzone, ho letto i testi e non ho visto un diretto attacco alla polizia o a Giuliani, ma una riflessione sulla tristezza di quella situazione, sulla tragedia.

Pensando al futuro della canzone, è più ottimista pensando a un episodio come quello di Springsteen o guardando i ragazzi che suonano rock standard nelle metropolitane?

C'è musica migliore nei metrò piuttosto che alla radio, questo è sicuro. Sei vuoi ascoltare Bob Dylan, Van Morrison o i Rolling Stones, li trovi nell?underground, non alla radio. Una volta incontrai Keith Richards e gli feci la stessa domanda. E lui rispose "il 90 per cento della musica oggi è merda, solo il 10 per cento ha la magia". Il blues è ancora attuale, c?è gente che ascolta Robert Johnson. Il resto è solo entertainment. E? difficile per me confrontarmi con un mercato rappresentato da Britney Spears, capisci, è come cercare di vendere Hemingway in un negozio con libri sui computer, non sono la stessa cosa, non possono stare nello stesso scaffale. Ma questa è la "pop culture".

Il suo duetto con Springsteen Everything I Do Leads Me Back To You è una delle canzoni in assoluto più scaricate da Internet. Ma per lei cos?è la Rete: pirateria, attentato al copyright, una possibilità in più?

Credo che sia la più radicale rivoluzione dei nostri tempi. E? buffo vedere le compagnie discografiche impaurite che la gente rubi. Non credevo molto in Internet sinché quella canzone non ha cominciato ad essere scaricata, numero uno tra gli mp3 con 160.000 download. E la cosa ha dato alla canzone nuova vita, così come all?album che la conteneva Selling The Gold. Mi piace questa cosa, dopo la sua esplosione in Rete trovi il mio sito come quello di Michael Jackson, tutti sono uguali su Internet, mentre le major assoldano eserciti di avvocati.

Perché ha scelto di vivere a Parigi?

Arrivai in Europa nel ?71 e quel viaggio cambiò la mia vita, cominciai a scrivere canzoni e e capii che i miei orizzonti potevano essere molto più ampi di quelli in cui ero cresciuto. E sentii nel mio cuore il desiderio di tornarvi. E così fu nell?89. Credo di avere l?anima dell?espatriato, che si sente più a casa quando non è a casa. Credo anche che gli europei siano più interessati alla cultura americana di quanto non lo siano gli stessi americani. Una volta in Giappone alcuni giornalisti descrissero l?America come una grande faro: puoi vedere lontanissimo, ma non vedi cosa c?è ai tuoi piedi. Jazz, blues, cinema sono più amati e rispettati dagli europei. A Parigi puoi vedere un film di John Cassavetes ogni sera, a New York no. Mi sento bene qui.

Stasera suona nella capitale, dove nel ?71 partecipò al film "Roma" di Fellini...
Successe prima dell'inizio della mia carriera di musicista. Suonavo per le strade e in particolare fuori al ristorante "Da Luigi",

quando avevo fatto abbastanza soldi entravo e mangiavo. La maggior parte di quelli che conoscevo erano attori e seppi che cercavano comparse per Roma di Fellini. Ci provammo anche io e mio fratello Matthew, andammo a Cinecittà, ci fecero sedere in una stanza. Entrò Fellini, ci guardò poi richiuse. Poco dopo arrivò una persona e ci disse "Ok". Fu sorprendente scoprire come Fellini fosse davvero il re della città. Ogni volta che doveva girare, a qualsiasi ora, il traffico si fermava. La mia era una scena breve, dieci secondi appena. Ma era una grande scena, cavalcavo una Harley Davidson...Alcuni anni fa, proprio qui al Big Mama, qualcuno mi diede l?indirizzo di Fellini e io gli spedii una lettera. Gli raccontai di quella mia esperienza col cinema, di cosa aveva significato per me, un espatriato che viveva in Europa, gli spedii anche un Cd. A Parigi ricevetti quindi una sua lettera in inglese che tengo attaccata su una parete di casa. "Sfortunatamente l?età ha indebolito la mia memoria ? diceva - non ricordo esattamente cosa hai fatto nel mio film, ma ti faccio i miei auguri di buona fortuna per la tua carriera musicale". Fu davvero gentile con me. Era il 1993, sei mesi dopo morì e io scrissi una canzone su di lui, Is Fellini Really Dead? (Selling The Gold).

(20 dicembre 2000)

 
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